Una settimana. Così tanto mi c'è voluto per tornare in sesto dopo essere rientrata dall'India. Avevo calcolato 2-3 giorni per la solita stanchezza, magari un po' di malessere. Ma una settimana!? Una volta atterrati e lasciati gli zaini, il corpo e la mente ci mettono un po' per liberarsi dalle emozioni, per rilassarsi e abituarsi a circostanze più stabili. In questi casi non è insolito per me avere la febbre, il sistema immunitario ingolfato, affaticamento. Questa volta il mio corpo è stato particolarmente intelligente, indovinando quali sintomi fosse meglio evitare (starnutire è severamente vietato!); ha buttato tutto sullo stomaco, ho avuto problemi per una settimana non potendo mangiare molto più di un brodino. A volte ho avuto paura che non sarei mai tornata del tutto a posto. E invece l'energia è tornata, lo stomaco è di nuovo eccitato all'idea di gustarsi i manicaretti della mamma italiana, i pensieri sono diventati più chiari e io sono pronta a buttarmi di nuovo sul lavoro. In parallelo, è arrivata anche la frustrazione per essere rinchiusi, ma beh, non c'è molto che posso fare a riguardo. Cerco di usare questo periodo al massimo, seguendo il corso di mindfulness su Coursea (più che necessario ;) ), lavorando sul nostro progetto, scrivendo storie, preparando programmi per i prossimi bandi, tornando ad imparare le lingue, riprovando con i video (sì , sì, lo so!) o la creazione del nuovo Changemaker ToolBox (ci siamo quasi!). Nel frattempo, discutiamo molto. È la prima volta in cui il cibo in Italia non è al centro delle conversazioni. Non ci sono molti fatti chiari che possiamo dire sul corona. Le informazioni sono incoerenti, i numeri non hanno senso, le fake news vanno in giro liberamente. Volevo scrivere qualche post brillante a riguardo, ma il massimo che posso fare è condividere alcuni dei miei pensieri. Penso molto alle persone che sono chiuse in casa, isolate, sole, depresse, che non sanno come affrontare la nuova situazione e le cui possibilità di morire aumentano di molto solo a causa dello stress, intossicate da cattive notizie, dalla mancanza di contatto umano, dalla mancanza di aria fresca e attività fisica. Stiamo indebolendo i nostri sistemi immunologici invece di rafforzarli. Penso a coloro la cui lotta quotidiana per la sopravvivenza diventa molto più dura - a coloro che subiscono violenza domestica, a persone dipendenti dall'alcol, a persone che soffrono di altre malattie - improvvise o croniche - e che hanno un accesso molto limitato alle cure mediche in questo momento. Penso a coloro che non hanno un posto sicuro dove stare - senzatetto, rifugiati, migranti. Il distanziamento sociale e la cosa di lavarsi-le-mani-frequentemente sono comunque un privilegio. Penso a coloro che hanno perso il lavoro il primo giorno di crisi e che potrebbero non avere abbastanza soldi per sfamarsi in questo momento, penso agli imprenditori le cui società sono in bancarotta, alle persone i cui sogni sono stati posticipati o annullati, alla crisi finanziaria che ci sta aspettando dietro l'angolo. Penso a come sia potuto accadere che il coronavirus è riuscito a bloccare così tanti paesi in poche settimane, mentre per il cambiamento climatico, l'inquinamento atmosferico, la mancanza di acqua pulita e tanti altri problemi almeno altrettanto mortali manca ancora una risposta adeguata. Penso anche che ogni crisi sia un'opportunità. Spero che riusciamo a re-inventare il sistema in cui viviamo, avere nuovi pensieri su chi siamo e dove vogliamo andare, ad implementare un nuovo approccio al consumo e al denaro. Spero davvero in un nuovo sistema economico, più inclusivo, più equo, più gentile verso noi stessi e verso il nostro pianeta. Penso alla rivoluzione digitale che sta accelerando molto in questo momento, portando tutta la nostra vita a "tele-esistere", ad accadere in remoto. È cosa buona e giusta in molti settori, ma saremo ancora in grado di connetterci profondamente per davvero? Penso a tutte le limitazioni che i governi ci stanno imponendo in questi giorni. Quali verranno rimosse al termine dell'emergenza? Quali rimarranno nel nome della sicurezza sanitaria? A quanta libertà personale siamo pronti a rinunciare a lungo termine? E cosa significa effettivamente salvare una vita umana? Dovremmo combattere il virus (questo e tutti gli altri che appariranno in futuro) o piuttosto sforzarci per migliorare la salute umana in senso lato in modo che sia il nostro corpo stesso a combattere virus e altre malattie? Magari rafforzare il nostro sistema immunitario mangiando cibo sano invece delle bomba a orologeria che troviamo oggi sugli scaffali dei supermercati, facendo moto invece di stare seduti davanti ai computer tutto il giorno, investendo in relazioni anziché in nuovi oggetti? Penso un po' alla morte. Ma riflessioni sulla morte mi accompagnano da molto tempo, come puoi leggere qui.
Penso a ciò che è importante nella vita, all'apprezzare le piccole cose che diamo sempre troppo per scontato, come una passeggiata, un caffè con gli amici, un concerto o una conferenza, il tocco umano. Mi sono avvicinata di nuovo ad alcuni di voi, scambiando messaggi, chiamate, e-mail. È un buon momento per riavvicinarsi a coloro per cui eravamo troppo occupati negli ultimi anni. È tempo di verificare ciò che conta davvero. Quali relazioni, quali azioni, quali lavori, quali programmi e quali valori.