[Anna] C'è una questione con cui mi confronto da molti, molti anni. Sono una maniaca del lavoro. Letteralmente dipendente dal lavoro. O forse più correttamente sono dipendente dall'essere efficace e impegnata, in quanto la definizione di lavoro può essere vaga e nel nostro caso non c'è una reale separazione tra lavoro, passioni e sfera privata.
Che cosa intendo per workaholista (o efficaciomane, o impegnodipendente)? Voglio dire che non riesco a smettere di lavorare e fare cose. Se non fosse per Andrea, non mi riposerei affatto. Ho sempre la sensazione di poter fare di più, non solo per il progetto o qualsiasi altro lavoro, ma anche per sviluppare me stessa. Ho una lista di cose da fare lunghissima e ho la smania di spuntare le attività man mano che vengono completate. Solo che ad ogni attività svolta ne aggiungo altre tre. E molte di queste non sono cose che devo oggettivamente fare. Sono cose che voglio fare, di solito mi entusiasmano, il che rende la cosa ancora più complicata. Mi appassiono facilmente a nuove idee, ma aggiungere qualcosina in più ogni volta può finire solo in un modo. Frustrazione. Burnout. Umore sotto i piedi. Conflitti con il partner. Essere costantemente nervosi e tesi. Non godersi il momento presente, non avere piacere nell'incontrare gli altri, nelle cose che la maggior parte delle persone considera rilassanti, perché mi sento in colpa, mentre la mia mente cerca di calcolare quante cose avrei potuto fare nel frattempo.
Va detto che da alcuni anni sono consapevole del mio stato e lavoro coscienziosamente per cambiarlo. Ricordo che il primo anno del nostro viaggio è stato davvero complicato da quel punto di vista - è stato difficile per me godermi il viaggio, le esperienze e le persone che abbiamo incontrato perché pensavo sempre alle storie che dovevamo scrivere, alle persone che dovevamo contattare, i premi del crowdfunding che dovevamo preparare, i post sui social media che dovevamo diffondere, ecc. Inoltre, mi aspettavo che anche Andrea lavorasse sodo ed ero molto frustrata dal dover aspettare i suoi risultati. Come puoi immaginare, la cosa ha portato a diverse discussioni e ha rovinato alcune esperienze altrimenti meravigliose. Già nel terzo anno del nostro viaggio, in Sud America, la situazione era decisamente migliore. A parte due o tre momenti in cui per alcune settimane sono tornate fuori le vecchie abitudini, sono riuscita a rilassarmi di più e prendermela con più tranquillità. Con la pandemia e il fatto di passare l'intera giornata davanti al computer i vecchi demoni si sono risvegliati. E questa volta ho preso la forte decisione di non lasciare che prendano le redini.
La dipendenza dal lavoro non viene trattata seriamente. È una dipendenza, ma del tipo che la nostra società apprezza e favorisce. La parola stacanovista ha un'accezione positiva, è un complimento. Una parola per descrivere l'accezione negativa non ce l'abbiamo. Ci piace essere impegnati. Le persone impegnate sembrano importanti e di successo. Magari ci sentiamo un po' frustrati quando il nostro partner trascorre ore e ore al lavoro, ma di solito cerchiamo di comprendere: è la sua carriera/passione/missione. Ma la dipendenza dal lavoro è un disordine. E non è facile uscirne. Ho preso mille volte la decisione di non accettare più progetti, di non lavorare più di un tot, di dedicare più tempo a me stessa e solo ora, dopo anni di lotta, sento di iniziare a fare dei seri progressi. Il senso di colpa durante i momenti di relax non è scomparso del tutto, ma almeno riesco a rilassarmi anche quando non c'è Andrea, cosa che prima non era così scontata. Lui mi ha aiutata molto, per esempio convincendomi che guardare un film in inglese e non in una lingua straniera (così almeno imparo qualcosa) è accettabile. Mostrandomi che il bello della vita si cela dietro piccoli piaceri: un buon caffè, un pezzo di torta, una bella chiacchierata, una passeggiata in riva al mare. Mi ha costretto, letteralmente, a fermarmi, e non sono una a cui è facile imporre qualcosa. Grazie per questo; devi ammetterlo, ho fatto progressi! ;)
Un'altra cosa che mi ha aiutato molto sono i libri e le iniziative che parlano di workaholismo, della cultura dell'efficacia, che il capitalismo ci impone, del burnout in modo più olistico, mostrando come funziona il nostro sistema e quali sono le sue conseguenze, anche per me. Ne ho menzionati molti nell'ultima storia che abbiamo postato. Per prepararmi ho fatto una lunga chiacchierata con Natalia Sarata di RegenerAkcja e ho letto alcuni libri da lei consigliati. Entrambe le cose mi hanno aiutato molto. Spero che possano aiutare anche te o almeno ispirarti. Per leggerlo, dai un'occhiata qui.
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